I vecchi, la città e la medicina

Il Mulino
Marco Trabucchi
Copertina del Volume

La vita dell’anziano è e resta un mistero. Come invecchierà la persona del nostro tempo è difficilmente prevedibile. Quindi avvicinarsi all’altro per meglio esercitare un rapporto di aiuto, in qualsiasi ruolo, richiede disponibilità umana e culturale a rimettersi in gioco, perché i punti fermi sono ancora pochi, se non la propria personale attitudine all’ascolto, all’attenzione e il rispetto di un’etica civile. Troppi sono gli interrogativi sul mondo che verrà: non sono quindi possibili conclusioni alla fine di questo volume che raccoglie alcuni spunti per meglio accompagnare la vita del vecchio. Perché si accompagna una vita e non una malattia, un mondo di ricchezza multiforme (anche quando presenta il volto del dolore e della sofferenza), e non quello della perdita. A tutte le età la vita è un continuo riproporsi di eventi che divengono prodromi di altri, in una cascata multiforme che non è possibile interrompere. Allora anche definire schematicamente cosa è necessario per migliorare vite in continuo movimento è particolarmente difficile. Oggi la scienza presenta nuove scoperte che potrebbero cambiare il futuro, la società adotta modelli di convivenza che si modificano sotto la pressione di nuovi costumi anche nel giro di pochi anni, l’esistenza umana nella sua espressione biologica più concreta (la durata) continua a modificarsi. In questo mondo dove nulla è fermo, come si colloca chi non rifiuta il cambiamento, ma vuole inserirvi il criterio di rispetto per i più deboli e quello della costruzione di risposte che li possano aiutare a sviluppare le residue potenzialità, in un’atmosfera di libertà e di dignità? Il criterio di vicinanza con l’altro, che caratterizza i rapporti personali e quelli di cura, deve permeare anche la vita collettiva, che non può essere affidata alla logica del più forte, nemmeno se questa si maschera dietro lo schermo della costruzione di un mondo migliore. Non vogliamo dare deleghe a nessuno, soprattutto di fronte alla possibilità che strumentalmente si possano alterare i rapporti personali che devono essere collocati nella prospettiva storica di un tessuto che è stato costruito con la sofferenza di molti. Oggi, in linea generale, grazie ai progressi della medicina non è più come ai tempi di Olser, quando la polmonite era la migliore amica del vecchio, perché gli permetteva di morire in modo indolore. Sono ancora molti, troppi gli anziani che muoiono di una qualche “polmonite”, perché trascurati, non curati con la dovuta determinazione, perché non compresi nelle cause reali di disagi che nascondono problemi clinici ed esistenziali. Molte, troppe, sono le “polmoniti” sociali, nemiche e non amiche, del vecchio. Vi sono, però, gli spazi per un progresso possibile e doveroso: dobbiamo percorrerli nella lucida coscienza dei limiti della medicina, ma allo stesso tempo della straordinaria condizione creata da un rapporto di cura, che è possibile attivare sempre, nella città dove si vive, come nei luoghi di assistenza. Assieme al progesso, che temiamo e amiamo, ma che non resterà fuori dalla porta. Un libro che affronta i problemi degli anziani non può quindi avere una conclusione, perché la vita, che continua a cambiare, di chi ha vissuto molti anni non può essere racchiusa in riassunti di carta. Sappiamo, alla fine, solo poche cose che riguardano il vecchio – che abita la città vicino o lontano da noi – e noi stessi, alla ricerca di capire il dovere di tutti i giorni verso di lui. Il vecchio ha un volto dalle mille rughe scavate dal tempo, dalla vita che talvolta è crudele, dalla lontananza di chi incide con cattiveria voluta o non voluta il proprio segno nella carne dell’altro, ma anche da generosità palesi o nascoste. Non sono mai graffiti da cancellare, perché testimonianza di un senso, di un’esistenza consumata alla quale si deve rispetto e vicinanza. Noi vorremmo essere come don Chischiotte, capaci di atti generosi verso i deboli, le donne e i bambini come nel Seicento, ma anche verso le molte altre facce della debolezza oggi nel nuovo millennio. Talvolta siamo frenati dal timo- re del ridicolo, dall’angoscia di sbagliare, dalla paura della diversità, dalla lontananza di ideali apparentemente irraggiungibili. Però, come don Chisciotte, è tempo di passare dalla lettura dei libri sulle gesta eroiche dei cavalieri antichi alla generosità espressa con intelligenza e concretezza. Allo stesso modo, dalla lettura di questo libro, al dovere di accompagnamento e di cura. I vecchi di oggi hanno bisogno di vicini spinti dall’utopia, anche se dotati di mezzi poveri e di compagni forse deboli o ridicoli. Combattere contro i mulini a vento è un rischio che si deve correre; si impara a pensare all’altro e a farsi carico di lui anche quando i punti di riferimento sembrano confusi ed incerti. La lotta di don Chisciotte contro maiali e mulini non è metafora di un errore, ma di un impegno che ognuno combatte con i mezzi che conosce, al fine di esercitare il privilegio di poter aiutare. Nella città di oggi abbiamo mezzi e cultura moderni, sia come cittadini sia come operatori professionali, ma se manca il coraggio e la generosità a nulla serviranno. Se, come è largamente accettato, la speranza per il futuro della condizione umana non può essere più affidata solo all’ingegneria sociale, l’individuo dovrà esercitare la propria responsabilità senza delegarla, costruendo reti con i suoi simili, le quali saranno in grado di dare risposte sul senso delle azioni di ciascuno e costituire punti di appoggio per chi è più debole.

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